SPID sia arrivato a un punto di non ritorno, il volere del Governo è chiaro: ecco che cosa è emerso dall’ultima commissione parlamentare.
Sono passati quasi otto anni da quando lo SPID, nero su bianco, è entrato a far parte delle nostre vite come chiave d’accesso digitale alla maggior parte dei servizi. Questo ha significato libertà amministrativa, innovazione e uno sguardo deciso verso il futuro. D’altro canto, ha comportato anche un lungo percorso di digitalizzazione per gli anziani, commissioni da pagare per attivarlo e qualche truffa legata al servizio.

Ora, dopo otto anni, l’intenzione del Governo è quella di spegnere definitivamente lo SPID. Non si tratta quindi di qualche provider che ha deciso di isolarsi, e nemmeno soltanto della questione dei servizi a pagamento (che comunque resta collegata al discorso). Durante l’ultima audizione, dalle parole di Alessio Butti è emersa un’intenzione ben precisa: puntare tutto su risorse statali.
Oggi molti provider stanno facendo pagare il servizio, visto che il progetto, ormai maturo, non riceve più finanziamenti pubblici. E quei servizi, di fatto, hanno un costo. Una separazione necessaria, insomma, che non sarà priva di ostacoli.
Il conto salato dello SPID e la corsa verso la CIE: le parole di Alessio Butti
Lo SPID, voluto e promosso dallo stesso Governo otto anni fa per colmare l’assenza di un’identità digitale statale, ha coinvolto direttamente i provider privati, incaricati di gestire i riconoscimenti e accompagnare i cittadini nella digitalizzazione, con fondi pubblici a sostegno. Oggi 33 milioni di italiani usano queste credenziali, spinte proprio dalla fiducia in un sistema garantito dallo Stato. Eppure ora serve un passo indietro – non per correggere un errore, ma per un’evoluzione necessaria.

Durante l’audizione in Commissione parlamentare per la semplificazione, Alessio Butti, attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica, ha confermato la volontà di spegnere progressivamente lo SPID, chiarendo: “In uno Stato serio l’identità digitale deve essere unica e rilasciata dallo Stato, con tutto il rispetto per i provider privati”. Ecco perché la CIE diventa il nuovo pilastro, più sicuro e coerente con gli standard europei.
Il problema resta sulle spalle dei provider, che dopo aver risposto alla chiamata pubblica ora sono costretti a chiedere un abbonamento per sostenersi, vista la fine dei finanziamenti. I 40 milioni di euro promessi nel 2023, ha ricordato Butti, “sono pronti al rilascio”, ma fermi per lungaggini burocratiche.
Andrea Sassetti, presidente di Assocertificatori, ha avvisato tramite Repubblica che quei fondi non sono mai arrivati e, anche se pagati, potrebbero non bastare: “Abbiamo perso milioni di euro nello SPID per otto anni”. Non sorprende quindi l’uscita di Intesa nel 2023, né la scelta di Aruba, Register e InfoCert di passare a un abbonamento annuale. Il futuro? Ancora due o tre anni di transizione verso la CIE (carta d’identità elettronica) e il wallet digitale pubblico, con milioni di cittadini chiamati a fare un nuovo salto.