Caos pensioni: in Italia stanno cambiando le regole sull’età legale per lasciare il lavoro. E non in meglio. Cosa succederà.
L’età legale per la pensione di vecchiaia, nel nostro Paese, è fissata attualmente a 67 anni. In Germania si può lasciare il lavoro intorno ai 65 anni. Dopo la riforma del 2023, in Francia, l’età pensionabile è fissata a 64 anni. In Spagna i lavoratori possono accedere alle pensioni a 65 anni. Olanda e Inghilterra concedono ai lavoratori di lasciare l’impiego verso i 66 anni. In Grecia il limite è 62 anni. E poi c’è la Turchia, dove gli uomini lasciano il lavoro a 52 anni e le donne a circa 49 anni!
C’è da dire che l’Italia è uno dei Paesi più vecchi d’Europa… da noi, l’età media supera i 47 anni. Inoltre, nel nostre Paese il sistema previdenziale è da decenni in ginocchio. I contributi versati dai lavoratori non tengono il passo dei soldi spesi per garantire le pensioni, anche a fronte di tantissimi lavoratori che negli anni scorsi hanno lasciato l’impiego precocemente, con regole d’uscita favorevoli e pensioni molto generose.
Il sistema italiano si basa infatti su un modello a ripartizione. Ciò significa che sono i contributi versati dai lavoratori attivi a finanziare le pensioni dei pensionati attuali. E dato che non c’è equilibrio tra occupati e pensionati (per via del calo demografico e della precarietà che affossa il mondo del lavoro), per le pensioni del futuro la situazione si preannuncia nera, con regole sempre più severe e stringenti per l’uscita dal lavoro.
Nel 2021 è stata approvata la legge Fornero, con cui lo Stato ha alzato l’età pensionabile e introdotto l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita. Una misura necessaria per evitare il collasso del sistema, ma che ha reso parecchio più rigido l’accesso alla pensione. In base a quella riforma, a partire dal primo gennaio 2027, l’età pensionabile in Italia dovrebbe salire da 67 anni a 67 anni e 3 mesi. Succederà coerentemente al meccanismo automatico di adeguamento all’aspettativa di vita previsto dalla legge.
Nel 2024 l’aspettativa di vita ha raggiunto 83,4 anni, con un incremento di circa 5 mesi rispetto al 2023. E tale aumento ha di fatto riattivato il meccanismo di adeguamento, che era bloccato dal 2019. Di conseguenza ci sarà un ritocco progressivo dei requisiti sia per le pensioni di vecchiaia che per le regole di accesso alle pensioni anticipate. Dal 2027, per la pensione anticipata ordinaria, serviranno 43 anni e un mese di contributi, indipendentemente dall’età. Per la pensione di vecchiaia serviranno 67 anni e 3 mesi di età.
Non è escluso che il Governo intervenga con un decreto ponte da 200 milioni di euro per congelare temporaneamente l’aumento. Verosimilmente, questa manovra potrebbe agevolare almeno per i lavoratori più fragili o quelli più prossimi alla pensione. L’obiettivo dovrebbe essere quella evitare la nascita di una nuova categoria di esodati. Cioè di persone senza pensione e senza reddito da lavoro.
Va comunque ricordato che l’anno di nascita incide profondamente sui requisiti pensionistici, e più si è giovani, più si rischia di andare in pensione tardi e con assegni meno generosi. Chi è nato fra il 1960 e il 1965 può andare in pensione a 67 anni con requisiti più o meno favorevoli. I nati fra il 1970 e il 1975 dovrebbero lasciare il lavoro a 67 anni e 3 mesi. I nati fra gli anni 1980 e 1985 se la vedranno nera: secondo le previsioni dell’INPS potrebbero accedere alla pensione solo a 69 anni e con un assegno parecchio basso: saranno infatti penalizzati dal sistema contributivo. Chi è nato dopo il 1990 potrebbe lasciare il lavoro dopo i 70 anni e rientrerà nel sistema contributivo puro, dove l’importo della pensione dipende solo dai contributi versati.
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