Tra le meraviglie della natura, c’è un frutto estivo che deve la sua nascita a un piccolo insetto. E che, al suo interno, ne conserva i resti.
D’estate gli insetti sembrano ovunque. Li vediamo svolazzare tra i fiori, sui frutti maturi, entrare nelle case, ronzare attorno ai nostri piatti. E spesso li consideriamo soltanto un fastidio. Eppure, senza di loro, la natura non sarebbe quella che conosciamo. Se non ci fossero queste piccole creature non ci sarebbe impollinazione, non esisterebbero frutti né piante come le conosciamo. In altre parole, volente o nolente, buona parte di ciò che mangiamo dipende proprio da loro.

Ma non finisce qui. A volte, l’intervento degli insetti è talmente profondo da lasciare letteralmente traccia all’interno di ciò che portiamo in tavola. E se questo può far storcere il naso, è anche la dimostrazione di quanto siano radicati nel nostro stesso ciclo alimentare.
C’è un frutto estivo amatissimo, ad esempio, che deve la sua bontà proprio a un piccolo insetto. Ma non solo: dentro questo frutto, in un modo che ha dell’incredibile, restano anche i suoi ‘resti’, ormai liquefatti. Non lo si direbbe mai, eppure succede. E senza questo piccolo sacrificio, quel frutto non esisterebbe nemmeno.
Il frutto estivo che contiene insetti liquefatti
Quante volte mangiamo qualcosa, apparentemente innocuo, senza sapere davvero da dove proviene? Il fico è proprio uno di questi casi. Quel frutto verde, morbido, con il cuore rosso nasconde un processo sorprendente. E per chi ha un rapporto complicato con gli insetti, la storia potrebbe risultare alquanto suggestiva.

Cominciamo sfatando un mito. L’idea che mangiamo vespe quando mangiamo i fichi è in buona parte un equivoco. Nasce dal nome inglese fig wasp – ‘vespa dei fichi’ – con cui si indica la Blastophaga psenes, il piccolo insetto che li impollina. Ma non è una vera vespa, bensì un imenottero piccolissimo e molto specializzato.
Qui entra in gioco il cosiddetto mutualismo obbligato. Significa che fico e Blastophaga dipendono l’uno dall’altra per sopravvivere. Il fico ha bisogno dell’insetto per essere impollinato, la Blastophaga ha bisogno del fico per riprodursi.
Il ciclo è affascinante. La femmina gravida entra nel fiore chiuso del fico maschio (caprifico) attraverso un forellino, l’ostiolo. Depone le uova; le larve crescono in piccole galle. I maschi, senza ali, nascono per primi, fecondano le sorelle femmine e poi muoiono. Le femmine escono cariche di polline e volano verso i fichi femmina (quelli che mangiamo).
Qui provano a deporre le uova ma rimangono incastrate. Moriranno, ma nel frattempo impollineranno i fiori femminili. La femmina morta si dissolve in sostanze proteiche, grazie a un enzima della pianta. In breve? Nessun rischio, nessun resto visibile. E senza questo piccolo ‘patto’, i fichi che tanto amiamo non esisterebbero nemmeno.