L’uomo, l’ingegno e le ossa di balena: l’incredibile scoperta risalente a ben 20.000 anni fa

Scoperti strumenti in osso di balena risalenti a 20.000 anni fa: un’indagine rivela l’antico legame tra esseri umani e cetacei nel Golfo di Biscaglia.

Facciamo un salto di 20.000 anni fa (sì, abbiamo messo il punto apposta per capire la distanza da noi). Siamo nel Paleolitico superiore, l’umanità si sta adattando a un clima più freddo, convivendo con grandi mammiferi come mammut e rinoceronti. Caccia, pesca e raccolta sono già praticate e iniziavano a svilupparsi le prime forme d’arte (l’arte rupestre, con la pitture nelle caverne).

Cosa facevano gli uomini preistorici con le ossa di balena?
L’uomo, l’ingegno e le ossa di balena: l’incredibile scoperta risalente a ben 20.000 anni fa – assculturale-arte-scienza.it

Ebbene, a quanto pare, le nostre capacità erano ancor più importanti – per quello che le ricerche man mano ci fanno scoprire. Un team internazionale di ricercatori ha infatti portato alla luce delle prove sorprendenti circa l’utilizzo di ossa di balena come strumenti da parte degli esseri umani proprio nel periodo appena citato.

Lo studio in questione, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Scienza e Tecnologia Ambientale dell’Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB), il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e l’Università della British Columbia, ci fa comprendere come ci fosse già nel tardo Paleolitico una importante interazione tra i primi gruppi umani e i grandi cetacei e che le balene, allora (come oggi) tra i più grandi animali esistenti sulla Terra, rappresentavano una risorsa cruciale per le popolazioni costiere – fonte di carne, olio e (in ultimo, come vedremo) materiale osseo.

Cosa facevano gli uomini nel tardo Paleolitico con le ossa di balena?

La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications e guidata da Jean-Marc Pétillon (CNRS) insieme alla scienziata Krista McGrath (ICTA-UAB), ha analizzato 83 strumenti ossei provenienti da vari siti del Golfo di Biscaglia, nel nord della Spagna, e 90 ossa aggiuntive recuperate nella Grotta di Santa Catalina, situata nella stessa area geografica. Attraverso tecniche di spettrometria di massa e datazione al radiocarbonio, gli studiosi sono riusciti a determinare sia la specie che l’epoca di appartenenza dei reperti.

“Il nostro studio rivela che le ossa appartenevano ad almeno cinque specie diverse di grandi balene, le più antiche delle quali risalgono a circa 19.000-20.000 anni fa. Si tratta di alcune tra le più antiche testimonianze dell’uso umano dei resti di balena come strumenti” afferma Pétillon.

La McGrath, dal canto suo, sottolinea il valore della metodologia adottata: “ZooMS è una tecnica estremamente efficace per esplorare la biodiversità marina del passato, specialmente quando mancano elementi morfometrici diagnostici nei reperti ossei e negli artefatti, una situazione comune nel caso degli utensili in osso. Siamo riusciti a identificare specie come capodogli, balenottere comuni, balenottere azzurre, tuttora presenti nel Golfo di Biscaglia, oltre a balene grigie, oggi per lo più confinate nell’Oceano Pacifico settentrionale e nelle acque artiche”.

L’analisi chimica dei reperti suggerisce inoltre che le abitudini alimentari delle balene di quell’epoca differivano in parte da quelle odierne, indicando possibili mutamenti ambientali o comportamentali nel corso dei millenni.

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